Una team di scienziati australiani ha ideato nanoparticelle mirate a migliorare le caratteristiche aromatiche del vino con interessanti risultati (*). L’aroma del vino è il risultato dell’interazione di numerose sostanze presenti in esso. Gli aromi generati da queste sostanze si distinguono a seconda dalla fase del processo di vinificazione in cui entrano in gioco. Secondo questa convenzione, gli aromi che sono presenti fin dall’inizio della vinificazione sono definiti aromi primari. Questi sono derivanti direttamente dall’uva, e sono caratteristici del vitigno utilizzato. Gli aromi primari donano un’identità molto tipica, consentendo di identificarli con relativa semplicità, in particolare ai vitigni aromatici (quali per esempio il Moscato, la Malvasia, il Brachetto e il Gewürztraminer). Gli aromi secondari sono quelli che appaiono durante il processo fermentativo (floreali, di frutta) e i terziari durante il processo di invecchiamento (tabacco, cuoio, vaniglia, ecc.). La tipologia e quantità dei composti aromatici nel vino viene influenzata non solo dai tipi di vitigni utilizzati, ma da ulteriori fattori che vengono riassunti con il termine “terroir”. Con terroir si intende l’interazione fra collocazione geografica della vigna, la sua altitudine, quanto sia soleggiata, esposta o meno al vento, alla nebbia, all’umidità, lo sbalzo termico fra giorno e notte, e, di fondamentale importanza, la tipologia di terreno su cui è impiantata (p.es. calcareo, sabbioso, roccioso, argilloso). Ognuno di questi fattori ha un effetto sulle caratteristiche aromatiche dell’uva e di conseguenza del vino. Tali caratteristiche sono specifiche della vigna in cui l’uva si è sviluppata e sono relativamente stabili nel tempo, proprio perché tipiche del territorio e delle sue specificità geografiche, climatiche e biochimiche. Ulteriori fattori che contribuiscono alla varietà del vino sono poi le condizioni meteorologiche in cui l’uva si è sviluppata (stagione più o meno piovosa, più o meno calda). In definitiva si può constatare come il vino sia il risultato di numerosi e diversi elementi, alcuni più o meno fissi, come il terroir, alcuni su cui il produttore può influire direttamente, quali la densità di impianto e la quantità dei grappoli sulla pianta, e alcuni estremamente variabili di stagione in stagione e su cui non è possibile influire: come per esempio la temperatura o la piovosità. Non tutti i composti chimici presenti nel vino alla fine del processo di vinificazione sono però desiderabili. Alcuni infatti danno origine ad aromi sgradevoli, mentre altri, che nella corretta proporzione portano caratteristiche apprezzate, se presenti in quantità eccessiva, possono anche essi compromettere la piacevolezza del vino. È comprensibile che tale complessità e variabilità ha da sempre reso desiderabile da parte dei produttori l’identificazione e definizione di strumenti e metodi mirati a ridurre almeno parzialmente la variabilità del processo, e consentire di avere un maggiore controllo nella produzione del vino, così da poter garantire più semplicemente, e con maggiore costanza risultati di qualità ripetibili nel tempo. Essendo molto complicato poter intervenire durante lo sviluppo e la crescita dell’uva, agendo in quella fase fattori difficilmente mutabili (quali il terroir e le condizioni climatiche), l’approccio più semplice nel tempo è stato quello di intervenire direttamente sul prodotto finale, durante il processo di fermentazione o a prodotto finito. Negli anni sono stati sviluppati numerosi prodotti e processi specifici per rimuovere alcuni degli aromi indesiderati del vino o ridurre la quantità di quelli desiderati ma presenti in eccesso, quindi a loro volta sgradevoli. Il problema di questi processi è che agiscono in maniera poco selettiva, rimuovendo sì le sostanze indesiderate, ma purtroppo con esse anche i composti chimici desiderati ed apprezzati nel vino, riducendone così la piacevolezza. A questa sfida si è dedicato un team di scienziati dell’Università di Adelaide, in Australia. L’obiettivo del loro studio è stato proprio quello di identificare un metodo di rimozione dal vino di sostanze sgradite, in maniera più mirata, senza alterare la gradevolezza del vino. Gli esperimenti sono stati condotti sul Cabernet Sauvignon, vitigno caratterizzato dalla presenza di un aroma di peperone. Questo aroma è dovuto alle metossipirazine presenti nell’uva. In quantità normali, tale aroma è caratteristico del vitigno e di conseguenza del vino, e fa parte degli aromi desiderati. Quando per condizioni climatiche, un’annata presenta una quantità eccessiva di metossipirazine, l’aroma di peperone diventa troppo marcato e di conseguenza sgradevole. La metodologia attuale per ridurne la quantità fa affidamento a pellicole a base di acido polilattico, che, inserite nel vino dopo la fermentazione, assorbono le molecole di metossipirazine, riducendone la presenza nel vino. Lo svantaggio è che queste pellicole rimuovono anche altri aromi presenti, riducendo così la complessità aromatica del vino e di conseguenza la sua piacevolezza. Il team di ricercatori ha quindi proposto di utilizzare nano-particelle progettate appositamente per legarsi alle molecole di metossipirazine. Queste nanoparticelle inoltre sono state rese magnetiche, così che, in seguito alla loro diffusione nel vino, e dopo che si sono unite alle molecole da rimuovere, utilizzando un semplice elettromagnete possono venire asportate dal vino, senza lasciare residui. Le analisi effettuate utilizzando cromatografi a gas e spettrografi di massa sul vino così trattato hanno dimostrato che questo processo ha conseguito il risultato di eliminare le molecole sgradevoli in eccesso, senza intaccare il profilo aromatico del vino, in maniera molto più efficace dei metodi precedenti. E questo risultato è stato infine anche confermato tramite analisi sensoriali svolte da esperti degustatori che hanno potuto constatare che l’aroma di peperone era rientrato nei livelli desiderabili, mantenendo però invariati gli aromi fruttati, riportando il vino ad un equilibrio aromatico ottimale. La conclusione dello studio lascia aperte nuove vie verso lo sviluppo di nanoparticelle mirate alla rimozione di altri composti indesiderati. Per concludere, un commento: forse grazie alle nanoparticelle ci sarà un giorno speranza anche per i vini naturali? (*) J. Agric. Food Chem., 2018, 66 (27), pp 7121–7130 Alessandro Lonardo