Definire con poche righe chi sono stati e che cosa hanno rappresentato i “Barolo Boys” per il mondo del vino sarebbe troppo riduttivo; per questo suggeriamo di guardare il docufilm “Barolo Boys, storia di una rivoluzione”, abilmente scritto e diretto nel 2014 da Paolo Casalis e Tiziano Gaia, in cui gli stessi protagonisti, coadiuvati dalla voce narrante di Joe Bastianich, ci raccontano tutti i particolari di questa vicenda, a tratti entusiasmante ma anche nostalgica, che ha cambiato per sempre il volto del mondo del vino italiano.

 

La storia ha inizio a metà degli anni ‘80, quando il Barolo realizzato dai contadini delle Langhe era ritenuto più un vino da pasto che da commercializzare e per questo poco considerato nel resto del Piemonte. Molti di questi contadini erano così poveri che non avevano nemmeno le attrezzature per fare il vino, ma conferivano le proprie uve alle ditte in grado di farlo in cambio di poche lire. Naturalmente per cercare di guadagnare il più possibile non scartavano alcun grappolo d’uva, per una produzione che mirava molto alla quantità. L’altro caposaldo nella vinificazione del Barolo era l’utilizzo esclusivo ed imprescindibile della botte grande, mediante la quale, con lunghi periodi di affinamento, si cercava di smorzare l’irruenza del Nebbiolo. Avvenne che alcuni loro figli, tra cui Elio Altare, Chiara Boschis e Gianni Voerzio solo per citare qualche nome, stanchi di quelle condizioni di povertà e animati dalla voglia di realizzare un grande vino che fosse apprezzato da tutti e quindi maggiormente vendibile, decisero di unirsi in gruppo per cambiare quello stato di cose. Tra questi, ce n’era uno in particolare, Elio Altare, che, affascinato dal successo dei vini della Borgogna, decise di visitare quei luoghi, nonostante non avesse soldi, circostanza che in occasione del viaggio lo costrinse a dormire anche in auto, per cercare di capire i segreti di quel successo. E li individuò nel sistema di potatura capace di ridurre le rese tramite il diradamento dei grappoli e nell’utilizzo di un contenitore più piccolo per l’invecchiamento, cioè la barrique. Osteggiato dal padre che giudicava il cambio di contenitore una vera e propria eresia, visione generalizzata nelle Langhe di allora, decise di fare un gesto eclatante, distruggere le vecchie botti con una sega elettrica, circostanza che indusse il padre addirittura a diseredarlo, perché riteneva che fosse impazzito. Ma la miccia ormai era stata accesa e lo scoppio dello scandalo del vino al metanolo nel 1986 contribuì ad accorciarla, spingendo quelle persone a ricercare con maggior convinzione una migliore qualità del vino da produrre. E il farlo in gruppo permise loro di ridurre sensibilmente i tempi di riuscita. Nacque così un vino più pulito, più concentrato, più colorato, molto fruttato, ottenuto con tempi meno lunghi di invecchiamento da fare rigorosamente in barrique, che fin da subito incontrò il favore del pubblico. 

Nel frattempo arrivò nelle Langhe un certo Marc di Grazia, che si propose di commercializzare quel vino negli Stati Uniti, sua terra natale. Ma, nonostante non fosse del settore (infatti era laureato in lettere comparate con specializzazione in greco classico!), decisero lo stesso di accettare. E fu subito un grande successo. Anche Bastianich in un passaggio del film afferma che in quegli anni nei suoi ristoranti sempre più celebrità richiedevano il nuovo Barolo. Allora, agli inizi degli anni ‘90, il gruppo decise di andare negli Stati Uniti per incontrare i propri clienti, rappresentati da importatori, ristoratori, enoteche ecc; e lo fecero con lo spirito dei ragazzi che vanno in gita alle superiori, ma furono accolti come vere e proprie star, sia a New York che in California; proprio in California accadde che un importatore regalò a tutti una maglietta con sopra la scritta “Barolo boys”, nome che da quel momento li rese famosi. Anche la critica di settore si interessò del loro caso e ottenere dei riconoscimenti da Gambero Rosso, Slow Food o addirittura da Robert Parker o Wine Spectator  significava prestigio, prezzi più alti e vendita alle stelle.

Tutto questo però non li tenne al riparo dalle polemiche che infuriarono con i cosiddetti “tradizionalisti”, i quali li incolpavano di aver creato un vino completamente diverso, troppo avulso dalla tradizione. 

Inoltre il sorgere di gelosie all’interno del gruppo, dovute a riconoscimenti maggiori che alcuni vini ebbero piuttosto di altri, ne minarono la solidità tanto che a fine anni ‘90 si disgregò irrimediabilmente, decretando la fine di un’era. 

 

Le discussioni tra “modernisti” e “tradizionalisti” proseguono ancora oggi, con la critica che sembra propendere più verso questi ultimi, perché in fondo esistono bottiglie di Barolo degli anni ‘70 che aperte dopo mezzo secolo mostrano di essere ancora ad un livello eccezionale. Anche alcuni di quei protagonisti sembra che abbiano cambiato opinione, ritenendo che sia stato un errore l’aver cancellato con un colpo di spugna l’intera tradizione.

E lo capiscono maggiormente oggi che si trovano a discutere con i propri figli, i quali sono animati dallo stesso desiderio di cambiare le cose, per rendere il Barolo più attuale.

 

E voi da che parte state?

Michele Nardozza